Pietro Chiari, La commediante in fortuna

Pietro Chiari

La commediante in fortuna, a cura di Valeria G. A. Tavazzi

Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012

 

Dilaniata da un’accesa rivalità fra opposte fazioni teatrali, la Venezia del XVIII secolo era animata da chiacchiere nei caffè, polemiche giornalistiche, libelli, satire e denunce anonime; parte attiva di questa atmosfera infuocata di espliciti o coperti attacchi personali, agli albori del romanzo italiano, Pietro Chiari disegna le vicende di Rosaura, giovane di umili origini che si mantiene calcando il palcoscenico e progredisce nella vita grazie alla propria determinazione e alla propria indipendenza. Quella della Commediante in fortuna è una protagonista che ha altissimo il senso della propria dignità di donna e professionista ma non manca di cogliere le più diverse opportunità che il caso le offre, intrecciando le proprie ambizioni di donna in carriera con una travagliata storia d’amore. La fortuna inafferrabile che governa la sua vita la mette sulla strada di un gruppo di attori nel quale si possono riconoscere ancora oggi i membri della compagnia Medebach, che aveva lavorato con Goldoni: ed è qui che il testo rivela una vena sottilmente antigoldoniana, valorizzando il ruolo riformatore del capocomico a discapito del suo primo collaboratore e inserendosi nella nota polemica editoriale fra Goldoni e Bettinelli. O ancora, tra i rimandi spesso ironici o scanzonati del romanzo alla vita e ai personaggi reali della Venezia del Settecento, Chiari piazza la caricatura del «signor Vanesio», ovvero un inedito Giacomo Casanova descritto come equivoco ciarlatano invasato «di cose oltramontane».

Ne risulta un romanzo interessante anche per i suoi molteplici livelli di lettura, da una fruizione per svago fino a quella invece vòlta a disoccultare i riferimenti alla realtà utili al pubblico che affollava i teatri veneziani e ai protagonisti delle polemiche del tempo. Muovendosi tra avventurose peripezie e angosce, Rosaura orienta la propria vitalità verso la libertà e l’amore, e si assiste meravigliati alla formazione di un carattere, di una consapevolezza di sé: «Finché siamo al Mondo non occorre mai decidere del sì, o del no, in qualunque stato avvenire; perocché siamo bene spesso necessitati dalle circostanze nostre a fare ciò che non avremmo creduto giammai; e per l’opposto a non volere più ciò che da noi ardentemente bramavasi».